Procedura di liquidazione: riflettori sul debito relativo alla restituzione del finanziamento ma ormai scaduto
In generale, il diritto dei soci al rimborso di un finanziamento concesso alla società in una situazione di squilibrio finanziario, ovvero in un contesto che avrebbe richiesto un aumento di capitale, è, Codice Civile alla mano, postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, nel senso che il diritto dei soci è posposto rispetto a quelli dei creditori

Il debito della società, relativo alla restituzione del finanziamento concesso dal socio, ove sia superato il termine previsto per l’adempimento, deve ritenersi a tutti gli effetti giuridici come un debito scaduto anche se inesigibile per effetto della postergazione prevista dal Codice Civile, poiché la postergazione costituisce un impedimento giuridicamente distinto dalla scadenza del termine e rileva ai fini del computo della soglia prevista, come da ‘Codice della crisi d’impresa’, per l’apertura della liquidazione controllata.
Questa la chiave di lettura fornita dai giudici (ordinanza numero 17508 del 29 giugno 2025 della Cassazione) a chiusura del contenzioso relativo all’istanza di apertura della procedura di liquidazione controllata nei confronti di una ‘s.r.l.’
In ballo, nel caso specifico preso in esame dai giudici, un credito postergato concesso da una società indicando un termine per la restituzione del finanziamento.
In generale, il diritto dei soci al rimborso di un finanziamento concesso alla società in una situazione di squilibrio finanziario, ovvero in un contesto che avrebbe richiesto un aumento di capitale, è, Codice Civile alla mano, postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, nel senso che il diritto dei soci è posposto rispetto a quelli dei creditori. Comunque, la postergazione opera non solo nel momento in cui si apre un concorso formale con gli altri creditori sociali ma anche durante la vita della società, configurandosi quale condizione d’inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento fino a quando non sia superata la situazione prevista dalla norma stessa. Pertanto, la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, ove sussista, sia al momento della concessione del finanziamento, sia al momento della richiesta di rimborso, la situazione di difficoltà economico-finanziaria indicata dalla legge. Poi, in caso di azione giudiziale di restituzione proposta dal socio, il giudice è chiamato a verificare se sussista una situazione di crisi, oltre che al momento della concessione del finanziamento, altresì al momento della decisione.
In questo quadro, poi, lo stato di eccessivo squilibrio nell’indebitamento o di una situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento costituisce un fatto impeditivo del diritto alla restituzione del finanziamento operato dal socio in favore della società. Tale impedimento alla restituzione, tuttavia, non può confondersi con quello costituito dalla mancata scadenza del termine per la restituzione della somma mutuata dal socio alla società: mentre, infatti, il termine rileva ai fini della determinazione del momento a partire dal quale il mutuatario ha l’obbligo di restituire la somma ricevuta, la postergazione, per contro, individua, se e fino a quando sussistano le condizioni ivi previste, un diverso fatto impeditivo che può, in tutto o in parte, concorrere con la pendenza del termine per l’adempimento ma rimane giuridicamente distinto da esso.
Ragionando in questa ottica, infine, il ‘Codice della crisi d’impresa’, nella parte in cui prevede che (in caso di domanda proposta dal creditore) non si fa luogo all’apertura della liquidazione controllata se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria è inferiore a 50mila euro, prende, dunque, in considerazione, quale impedimento all’apertura della procedura di liquidazione controllata, esclusivamente quello costituito dalla mancata scadenza del termine fissato per l’adempimento dell’obbligazione (nella misura minima prevista dalla norma). Sicché, non è da escludere che il debitore insolvente, nella misura (minima) stabilita dalla norma, possa essere, come tale, assoggettato alla procedura di liquidazione controllata.
Ragionando diversamente, invece, si finirebbe per giungere ad una conclusione paradossale, e cioè di negare la sussistenza dell’insolvenza della società (ai fini dell’apertura della liquidazione controllata) proprio quando essa, pur avendo debiti restitutori nei confronti dei suoi soci in misura superiore a 50mila euro e trovandosi nelle condizioni previste dal Codice Civile, si trova, a ben vedere, nell’impossibilità – che può derivare da un impedimento fattuale (come la mancanza della necessaria liquidità) ma anche da un impedimento giuridico (come, appunto, l’eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure la situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento) – di soddisfare regolarmente (e cioè nei relativi termini di adempimento e con mezzi normali) le proprie obbligazioni.