Condotte vessatorie non catalogabili come mobbing: risarcimento possibile comunque per il lavoratore

Anche singole condotte possono risultare, se esaminate separatamente e distintamente, lesive dei fondamentali diritti del lavoratore

Condotte vessatorie non catalogabili come mobbing: risarcimento possibile comunque per il lavoratore

Risarcimento possibile per il dipendente pubblico anche se le condotte vessatorie subite non sono catalogabili come mobbing. Questo il principio fissato dai giudici (ordinanza numero 19196 del 12 luglio 2024 della Cassazione), i quali precisano che, in materia di tutela del lavoratore, qualora vengano denunciate condotte lesive della sua salute e della sua dignità, è necessario, pur escludendo la configurabilità del mobbing per mancanza di un intento persecutorio unitario, valutare se i singoli comportamenti, anche considerati atomisticamente, siano in concreto idonei a ledere i diritti fondamentali del lavoratore, come fissati dal Codice Civile. Applicando questa prospettiva alla vicenda in esame, i giudici ridanno vigore alle istanze risarcitorie avanzate da una infermiera, dipendente di un’Azienda Sanitaria Locale campana, a fronte delle molestie subite, a suo dire, per mano del responsabile di un reparto. Decisivo il richiamo al principio secondo cui, nell’ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vessatoria, è doveroso, pur nella accertata insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti e quindi della configurabilità di una condotta di mobbing, valutare se alcuni dei comportamenti denunciati – esaminati singolarmente, ma sempre in sequenza causale – pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio, possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro, che possa essere chiamato a risponderne, nei limiti dei danni a lui imputabili. In sostanza, alla base della responsabilità per mobbing lavorativo si pone normalmente il Codice Civile, che obbliga il datore di lavoro ad adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica e la personalità morale del lavoratore, per garantirne la salute, la dignità e i diritti fondamentali. Riflesso di tale ricostruzione è l’affermazione per cui, se anche le diverse condotte denunciate dal lavoratore non si ricompongano in un unicum e non risultino, pertanto, complessivamente e cumulativamente idonee a destabilizzare l’equilibrio psico-fisico del lavoratore o a mortificarne la dignità, ciò non esclude che tali condotte o alcune di esse, ancorché finalisticamente non accumunate, possano risultare, se esaminate separatamente e distintamente, lesive dei fondamentali diritti del lavoratore. E, chiariscono i giudici, non costituisce ostacolo a tale approdo l’eventuale originaria prospettazione della domanda giudiziale in termini di danno da mobbing.

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