Sosta sulle strisce: in caso di querela di falso contro il verbale la moglie del trasgressore può essere ammessa come testimone
Il giudice non può escludere la credibilità del teste per il solo fatto che questi sia legato da vincoli familiari al ricorrente
Un uomo ha ricevuto una contravvenzione per aver lasciato l'auto parcheggiata su un passaggio pedonale. L'automobilista ha portato il caso davanti al giudice di pace per cercare di dimostrare la falsità ideologica dell'attestazione presente sul verbale, secondo cui non era stato possibile contestare la contravvenzione a causa dell'assenza del trasgressore. La richiesta dell'uomo è stata respinta in primo e secondo grado, in quanto le testimonianze fornite dalla moglie e dalla cognata a sostegno della sua presenza al momento dell'infrazione non sono state considerate ammissibili a causa del loro coinvolgimento personale nella vicenda.
La questione è quindi giunta in Cassazione, e riguarda la credibilità delle testimonianze: il ricorrente, infatti, sostiene che il verbale affermi falsamente la sua assenza al momento della contestazione, portando così la moglie e la cognata come testimoni. Tuttavia, i giudici precedenti hanno dato valore al verbale, considerando le testimonianze dei familiari come potenzialmente di parte e quindi inattendibili. La Corte Suprema ha accolto la censura del ricorrente, stabilendo che le relazioni familiari non sono motivo sufficiente per dichiarare inattendibili i testimoni.
La sentenza ha sottolineato che il verbale di accertamento, soggetto a una querela di falso, non può essere considerato come fonte di prova definitiva, ma deve essere valutato insieme ad altre evidenze per decidere l'attendibilità delle testimonianze, evidenziando che le testimonianze familiari non possono essere automaticamente screditate. La sentenza è stata così annullata e rinviata alla Corte d'Appello per una nuova valutazione (Cass. n. 20363 del 23 luglio 2024).