Legittima la condotta del carabiniere che fa pressione sui genitori dei minorenni che gli hanno danneggiato l’autovettura

Per i giudici, difatti, non è configurabile il delitto di concussione nel caso in cui la condotta del pubblico agente si risolva in un mero condizionamento

Legittima la condotta del carabiniere che fa pressione sui genitori dei minorenni che gli hanno danneggiato l’autovettura

Carabiniere trova la propria auto danneggiata e chiede conto ai genitori dei minori presunti autori del vandalismo: escluso il reato di concussione. Irrilevante, secondo i giudici, anche il fatto che il militare dell’Arma abbia convocato i genitori dei minori presunti autori del vandalismo per chiedere di individuare i veri colpevoli e di contribuire economicamente alla spesa per la riparazione del veicolo. Scenario della vicenda è il territorio della Basilicata. L’antefatto è la sgradevole sorpresa trovata da un carabiniere, ossia alcuni danni alla propria vettura. L’episodio oggetto del processo è la sua reazione, ossia l’avere convocato i genitori dei minorenni presunti autori dell’atto vandalico per conoscere i nomi dei reali colpevoli e per ottenere anche un risarcimento, ossia un contributo per la riparazione della vettura. Per i giudici di merito la condotta tenuta dal carabiniere va catalogata come concussione. Per i giudici di Cassazione, invece, va esclusa ogni possibile responsabilità penale del carabiniere. In sostanza, una volta ricostruita la vicenda, non è configurabile alcun abuso costrittivo ascrivibile al carabiniere. Per fare chiarezza, i magistrati annotano in premessa che il reato di concussione richiede una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, commessa con abuso dei suoi poteri o delle sue qualità, che incida in modo significativo sulla libertà di autodeterminazione del destinatario, costringendolo alla dazione o alla promessa indebita. Ciò che conta è che l’agente pubblico si sia avvalso della posizione di preminenza sul privato per cercare di prevaricarne le scelte e le decisioni». E in questa ottica bisogna tener presente che a contare non è l’oggetto della pretesa del pubblico ufficiale, che può anche non essere oggettivamente illecita, bensì le modalità della sua richiesta e della sua realizzazione. Per maggiore chiarezza, poi, i magistrati richiamano il principio secondo cui il delitto di concussione è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita. Tirando le somme, affinché possa configurarsi il delitto di concussione, occorre, dunque, che, attraverso tale abuso, dei poteri o delle qualità, il pubblico ufficiale, o l’incaricato di un pubblico servizio, eserciti forme di pressione di tale intensità da non lasciare margine alla libertà di autodeterminazione del destinatario della pretesa illecita, che, di conseguenza, si determina alla dazione o alla promessa esclusivamente per evitare il danno minacciato. Applicando tale visione alla vicenda oggetto del processo, i magistrati ‘censurano’ la valutazione compiuta in Appello, laddove, pur non emergendo dagli atti alcun indicatore di un abuso costrittivo nella condotta del carabiniere, ci si è limitati a porre l’accento su alcuni particolari di per sé non determinanti quali la qualifica pubblicistica del carabiniere, indipendentemente da una sua effettiva strumentalizzazione, ma solo in quanto nota a tutti i genitori, ed il fatto che egli si sia presentato in divisa ad una riunione. Invece, si è appurato che il carabiniere si è sostanzialmente limitato ad una generica pressione, prospettando le possibili ragioni di convenienza legate a eventuali indagini sui danneggiamenti o di carattere socio-familiare da parte dei ‘Servizi sociali’, qualora non fossero stati individuati gli autori dei danneggiamenti ovvero non si fosse provveduto, in ogni caso, alla riparazione della sua auto privata. E tale richiesta, sebbene posta in essere nei confronti di soggetti che ne conoscevano l’appartenenza all’Arma dei Carabinieri, non appare, spiegano i magistrati di Cassazione, in alcun modo attuata con modalità tali da configurare quella indebita strumentalizzazione della qualifica o del potere idonea a coartare la volontà dei destinatari. Difatti, il carabiniere si è limitato a chiedere loro di individuare i colpevoli o, comunque, di attivarsi al fine di risarcirlo del danno, pretesa, quest’ultima che, sebbene censurabile sotto un profilo civilistico, non risulta accompagnata da alcuna prospettazione di un male ingiusto che ne giustifichi una rilevanza agli effetti penali, tale non potendosi intendere il generico riferimento alle indagini che sarebbero state svolte in caso di una denuncia riguardante minorenni. Ebbene, tale condotta esorbita, secondo i giudici, dal perimetro della costrizione, trattandosi di una mera pressione che, oltre a non apparire correlata ad un abuso né dei poteri né della qualità del carabiniere, per le modalità con le quali è stata esercita non appare idonea ad incidere sulla libertà di autodeterminazione dei destinatari della richiesta», sottolineano i magistrati. Esclusa, quindi, la responsabilità penale del carabiniere, anche alla luce del principio secondo cui non è configurabile il delitto di concussione nel caso in cui la condotta del pubblico agente si risolva in un mero condizionamento, o in un’attività di generica persuasione, che non si estrinsechi in una forma di intimidazione obiettivamente idonea a determinare uno stato di coercizione psicologica nel destinatario.

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