Esclusione di un associato: non sufficiente un comportamento che mini il clima di affectio societatis

Decisivo, nel caso preso in esame dai giudici, il riferimento a quanto previsto nello statuto

Esclusione di un associato: non sufficiente un comportamento che mini il clima di affectio societatis

Quando l’atto costitutivo dell’associazione contenga una specifica descrizione dei motivi ritenuti così gravi da provocare l’esclusione dell’associato, la verifica giudiziale è destinata ad arrestarsi al mero accertamento della puntuale ricorrenza o meno di quei fatti che l’atto costitutivo contempla come causa di esclusione, non potendo farsi riferimento alla clausola generale, prevista dal Codice Civile, dei gravi motivi. In particolare, quando lo statuto preveda come causa di esclusione il recare danni gravi patrimoniali o morali all’associazione, occorre accertare non solo l’evento lesivo ma anche il pregiudizio effettivamente subito dall’associazione, non essendo sufficiente il mero accertamento che il comportamento abbia minato il clima di affectio societatis.
Questi i punti fermi fissati dai giudici (ordinanza numero 27556 del 15 ottobre 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame le obiezioni sollevate da due persone estromesse, a seguito di delibera del consiglio direttivo, da una ‘Polisportiva’, delibera poggiata su due elementi, ossia l’accusa, rivolta ai due soci, di aver svolto attività di pesca non consentita e di aver diffamato, a mezzo ‘Facebook’, alcuni esponenti del consiglio direttivo.
Centrale, a dirla tutta, è
il profilo delle esternazioni sul social network, esternazioni inutili e offensive nei confronti degli organi dell’associazione e tali da minare in modo irrimediabile le fondamenta del rapporto associativo e rendendone impossibile la prosecuzione, secondo i giudici d’Appello.
Ciò detto, per i magistrati di Cassazione è necessario richiamare il principio secondo cui, ove l’atto costitutivo dell’associazione contenga già una ben specifica descrizione dei motivi ritenuti così gravi da provocare l’esclusione dell’associato, la verifica giudiziale è destinata ad arrestarsi al mero accertamento della puntuale ricorrenza o meno, caso per caso, di quei fatti che l’atto costitutivo contempla come causa di esclusione. Quando, invece, nessuna indicazione specifica sia contenuta nel medesimo atto costitutivo, o quando si sia in presenza di formule generali ed elastiche, destinate ad essere riempite di volta in volta di contenuto in relazione a ciascun singolo caso, o comunque in qualsiasi altra situazione nella quale la prefigurata causa di esclusione implichi un giudizio di gravità di singoli atti o comportamenti, da operarsi necessariamente post factum, il vaglio giurisdizionale si estende necessariamente anche a quest’ultimo aspetto.
Tornando alla vicenda in esame, lo statuto della ‘Polisportiva’ è molto specifico nell’indicare le cause di esclusione del socio che: non ottemperi alle disposizioni dello statuto dei regolamenti e deliberazioni adottate dagli degli organi direttivi dell’associazione; si renda moroso del versamento del contributo annuale dovuto per un periodo superiore a mesi tre decorrente dall’inizio dell’esercizio sociale; svolga e tenti di svolgere attività contrarie agli interessi dell’associazione; che in qualunque modo arrechi danni gravi patrimoniali o morali alla associazione.
La contestata delibera di esclusione faceva riferimento proprio ai danni patrimoniali e morali. Di conseguenza, la verifica giudiziale doveva ad arrestarsi all’accertamento della puntuale ricorrenza o meno, nel caso, di quei fatti che l’atto costitutivo contempla come causa di esclusione, e non poteva più farsi riferimento alla clausola generale dei gravi motivi.
Invece, i giudici d’Appello non hanno accertato se il socio con il suo comportamento avesse recato danni patrimoniali o morali all’associazione, ma si sono limitati ad accertare che erano stati pubblicati epiteti offensivi nei confronti degli organi dell’associazione e che ciò aveva minato il rapporto sociale. Questi comportamenti sono stati ritenuti rilevanti in quanto integranti i gravi motivi previsti dal Codice Civile poiché idonei a incidere in modo irrimediabile sulla prosecuzione del rapporto associativo.
In sostanza, il socio si è abbandonato a inutili e offensive esternazioni, pubblicate su ‘Facebook,’ nei confronti degli organi dell’associazione, minando in modo irrimediabile le fondamenta del rapporto associativo e rendendone impossibile la prosecuzione. Ma, osservano i giudici di Cassazione, non emerge la ritenuta sussistenza di un vero e proprio danno morale (né patrimoniale) arrecato all’associazione per il tramite di quegli insulti nei confronti degli organi associativi, quanto piuttosto che ciò abbia minato il clima di affectio che dovrebbe connotare la società, e ciò è cosa diversa, poiché le definizioni “danno patrimoniale” e “danno morale” hanno uno specifico significato. Per ritenere la sussistenza del danno non ci si può limitare all’accertamento del fatto in sé (evento) ma occorre che si accerti anche il pregiudizio subito dal soggetto e cioè il cosiddetto ‘danno conseguenza’. Ma in questa vicenda manca l’esame del pregiudizio che l’associazione (e non il presidente o altri associati facenti parte degli organi sociali) avrebbe subito per effetto dei comportamenti del socio, poiché l’indagine è stata piuttosto spostata sul mantenimento di buone relazioni tra socio e altri associati, ritenute compromesse dagli insulti sul social network.

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