Controlli di sangue e urine non bastano per parlare di condizione psico-fisica alterata del conducente

L’esito positivo dell’accertamento compiuto sui campioni biologici del conducente non è sufficiente a dimostrare l’attualità dello stato di alterazione, dovendo questo essere riscontrato da dati sintomatici della pregressa assunzione di sostanza drogante, rilevati al momento del fatto.

Controlli di sangue e urine non bastano per parlare di condizione psico-fisica alterata del conducente

I controlli relativi a sangue e urine non sono sufficienti, da soli, per accertare la condizione psico-fisica alterata della persona che, alla guida del proprio veicolo, si è resa colpevole di omicidio stradale. Questo il paletto fissato dai giudici della Cassazione (sentenza 31190 del 31 luglio 2024), i quali sono stati chiamati a prendere in esame un drammatico episodio verificatosi in un tratto stradale nella provincia di Napoli. Chiara la dinamica dei fatti: una vettura, guidata da una donna, ha impattato ripetutamente, dopo un repentino slittamento, contro alcuni ostacoli fissi. A subire le conseguenze peggiori è stato uno dei tre passeggeri, una donna che ha perso la vita, in conseguenza delle gravissime lesioni riportate a seguito dell’incidente. A finire sotto processo, ovviamente, la donna alla guida della vettura. A fronte di un quadro probatorio pesantissimo, per i giudici di merito non ci sono dubbi sulla responsabilità dell’automobilista per il reato di omicidio stradale. Ciò perché è emersa in maniera palese l’imprudente condotta di guida della conducente, vittima di un evidente calo di attenzione», imprudente condotta che ha causato, secondo i giudici, l’improvvisa perdita di controllo della vettura, in un contesto particolare, peraltro, caratterizzato dalla viscosità del manto stradale, reso umido dalla pioggia in precedenza caduta, dalla scarsa illuminazione esistente e dalla presenza, in loco, di giunti di connessione. A rendere ancora più delicata la posizione dell’automobilista, poi, anche l’aggravante della accertata condizione di alterazione dovuta alla precedente assunzione di sostanze stupefacenti e di alcool. Su quest’ultimo punto, però, i giudici di Cassazione, pur accertata la responsabilità della donna, colpevole di omicidio stradale, ritengono possibile mettere in dubbio l’aggravante prevista in caso di conducente che si mette alla guida in condizioni alterate a causa dell’assunzione di droga o di alcool. Ciò perché balza agli occhi, secondo i giudici, l’assenza di elementi certi per affermare che il sinistro stradale ebbe a verificarsi in ragione della precedente assunzione di sostanze stupefacenti da parte della conducente del veicolo. In questa ottica, poi, l’esame ematico e l’esame delle urine, non sono, di per sé soli, dimostrativi della circostanza che la donna versasse in una condizione di alterazione dovuta alla pregressa assunzione di droga, allorquando, con condotta di guida imprudente, cagionò il sinistro stradale mortale, chiosano i giudici. A consolidare tale ragionamento, poi, anche il principio secondo cui in tema di omicidio stradale, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della guida in stato di alterazione da stupefacenti, l’esito positivo dell’accertamento compiuto sui campioni biologici del conducente non è sufficiente a dimostrare l’attualità dello stato di alterazione, dovendo questo essere riscontrato da dati sintomatici della pregressa assunzione di sostanza drogante, rilevati al momento del fatto. Senza dimenticare, poi, le concrete modalità di verificazione dell’incidente, onde individuare eventuali indicatori dell’effettiva ricorrenza di tale condizione, non potendo assumere, per converso, particolare significato il contegno serbato dalla conducente all’atto del controllo, posto che dagli esami ematochimici eseguiti è emerso che ella versava anche in un lieve stato di ebbrezza (il tasso alcolemico nel sangue era risultato di valore inferiore a 0,5 grammi per litro), peraltro non rilevante ai fini della configurabilità dell’aggravante» ipotizzata.

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