Beni sottratti in negozio: censurato il controllo non giustificato ai danni del lavoratore

La legittimità dei controlli difensivi in senso stretto presuppone il fondato sospetto del datore di lavoro circa comportamenti illeciti

Beni sottratti in negozio: censurato il controllo non giustificato ai danni del lavoratore

Beni sottratti in negozio, sotto accusa la persona alla quale è stata affidata la gestione del ‘punto vendita’. Impossibile, però, legittimare il licenziamento deciso dall’azienda se gli indizi messi sul tavolo sono insufficienti e, peraltro, frutto di un controllo non giustificato ai danni del lavoratore.
Questa, in sintesi, la posizione assunta dai giudici (ordinanza numero 10822 del 24 aprile 2025 della Cassazione) a chiusura del contenzioso sorto tra una nota azienda di moda e una dipendente che svolgeva il ruolo di responsabile di uno ‘showroom’ commerciale.
Ampliando l’orizzonte oltre la specifica vicenda, i giudici di terzo grado fissano un punto fermo: la legittimità dei controlli difensivi in senso stretto presuppone il fondato sospetto del datore di lavoro circa comportamenti illeciti di uno o più lavoratori. In questa ottica, tocca al datore di lavoro l’onere di allegare e provare le specifiche circostanze che l’hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico ex post, sia perché solo il fondato sospetto consente l’azione datoriale fuori del perimetro di applicazione diretta del divieto, imposto dallo ‘Statuto dei lavoratori’, di impiego di impianti per il controllo a distanza dell’attività dei dipendenti, sia perché incombe sul datore di lavoro la dimostrazione del complesso degli elementi che giustificano il licenziamento del dipendente.
Già i giudici di merito hanno ‘censurato’ la linea seguita dall’azienda, imponendole la reintegra della dipendente nel posto di lavoro, con annessa corresponsione di un’indennità risarcitoria, e ciò alla luce della mancanza di prove legittimamente acquisite in ordine alla presunta responsabilità della dipendente per i fatti, attinenti alla sottrazione di alcuni prodotti, ad ella attribuiti. In particolare, viene chiarito, l’indagine condotta da un collega della dipendente sotto accusa e le immagini registrate dagli impianti audio-visivi sono state realizzate senza il rispetto della normativa in materia, ed inoltre le indagini forensi sugli strumenti aziendali della lavoratrice, indagini disposte dopo il licenziamento, debbono reputarsi irrilevanti.
Sulla stessa falsariga anche i magistrati di Cassazione, i quali respingono definitivamente le obiezioni sollevate dall’azienda di moda.
Entrando nei dettagli, viene confermata la illegittimità dei controlli telematici, poiché non si è ravvisato un fondato sospetto, bensì, esclusivamente, un puro convincimento soggettivo di un altro dipendente, il quale, nel visionare alcune riprese era rimasto incuriosito dal comportamento della responsabile dello ‘showroom’.

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