Assegno divorzile: come far pesare la rinuncia all’eredità
Respinte le obiezioni sollevate da un uomo. Decisivo il mancato riferimento al valore dell’asse ereditario rifiutato dall’ex moglie

La rinuncia all’eredità da parte del coniuge che richiede l’assegno divorzile non può essere considerata rilevante, in automatico, ai fini della valutazione dell’inadeguatezza dei mezzi economici a sua disposizione, qualora non venga specificato il valore dell’asse ereditario e delle sue passività, non potendosi in tal caso apprezzare, precisano i giudici (ordinanza numero 1650 del 23 gennaio 2025 della Cassazione), se e in che termini l’accettazione dell’eredità sarebbe stata in grado di incidere in modo significativo sull’assetto patrimoniale del coniuge che richiede l’assegno. Inutili, nella vicenda presa in esame dai giudici, le obiezioni sollevate da un uomo e mirate a ridimensionare l’assegno divorzile – 1.000 euro al mese – da versare all’ex moglie e centrate soprattutto sulla rinuncia formale, da parte della donna, all’eredità paterna e materna. Per quanto concerne i rapporti economici tra i due ex coniugi, il quadro è chiarissimo, secondo i giudici, poiché è emerso un profondo divario economico, avendo l’uomo lavorato, sino alla pensione, come medico dipendente pubblico e libero professionista, mentre la donna ha svolto soltanto lavori saltuari per diversi anni, sino a non trovare più alcun impiego dopo la pandemia. Inequivocabili anche i numeri: l’uomo ha dichiarato per tre anni consecutivi un reddito complessivo compreso tra i 60mila euro e gli 80mila euro, mentre la donna ha dichiarato, nello stesso periodo, un reddito complessivo, al netto del contributo al suo mantenimento, oscillante tra i 10mila euro e i 16mila euro. Inoltre, l’assegno divorzile rappresenta, anche oggi, in assenza di altre attività lavorative, fonte essenziale di reddito per la donna, che in una delle ultime dichiarazioni dei redditi ha indicato reddito imponibile corrispondente soltanto all’assegno percepito. Evidente, poi, il contributo offerto dalla donna per la costituzione del patrimonio personale e familiare. Difatti, la dedizione esclusiva da parte di lei alla cura della casa e della numerosa famiglia (tre figli) ha sicuramente consentito al marito di concentrarsi interamente sulla propria carriera e di consolidare le sue qualifiche e competenze professionali incrementando i propri redditi, mentre invece la moglie non è riuscita a costruire negli anni una propria formazione, sacrificando in maniera evidente la possibilità di costruzione di un valido e spendibile profilo professionale e pensionistico. Senza dimenticare, poi, che è documentato l’apporto economico fornito dalla famiglia della donna all’inizio della vita coniugale, sia per l’acquisto della casa coniugale sia per l’intestazione a lei di immobili poi rivenduti dai coniugi nel corso del matrimonio, così come non è contestato che la donna abbia rinunciato in favore dell’allora marito alla sua quota del 50 per cento della società immobiliare con lui costituita per l’acquisto e la gestione di vari immobili, con evidente incremento della situazione economica del marito. Per quanto concerne, infine, la rinuncia, da parte della donna, ai propri diritti ereditari, i giudici ritengono troppo generica l’obiezione sollevata dall’uomo, poiché non precisa quale sia il valore dell’asse ereditario e delle sue passività, e ciò non consente di apprezzare la decisività della questione ai fini della concessione dell’assegno divorzile, ed in particolare se e in che termini l’accettazione dell’eredità sarebbe stata in grado di incidere in modo significativo sull’assetto patrimoniale della donna.