Assegni familiari al lavoratore straniero anche se i figli non provano di essere entrati regolarmente nel Paese
I cittadini di Paesi terzi ammessi in uno Stato membro dell’Unione Europea, al fine di svolgervi regolarmente un’attività lavorativa, devono beneficiare della parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali
Uno Stato membro dell’Unione Europea non può escludere dal beneficio degli assegni familiari il lavoratore straniero i cui figli, nati in un Paese terzo, non dimostrino di essere entrati regolarmente nel suo territorio. Questo il paletto fissato dai giudici (sentenza del 19 dicembre 2024 della Corte di giustizia dell’Unione Europea), i quali precisano poi che i cittadini di Paesi terzi ammessi in uno Stato membro, al fine di svolgervi regolarmente un’attività lavorativa, devono beneficiare della parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali. Riflettori puntati, nello specifico, sulla vicenda di un cittadino armeno che nel 2008 è entrato irregolarmente nel territorio francese con la moglie e i due figli minorenni, nati in Armenia. Nel 2011, però, la coppia ha avuto un terzo figlio, nato in Francia. E nel 2014 l’uomo ha chiesto di ottenere prestazioni familiari per i suoi tre figli. Però, nonostante egli disponesse di una carta di soggiorno temporaneo che gli consentiva di lavorare, la ‘Cassa per gli assegni familiari’ ha respinto la domanda, relativamente ai due figli nati al di fuori della Francia. Su tale diniego, ovviamente contestato dal cittadino armeno, è stato chiesto ai magistrati comunitari di fare chiarezza. Chiaro il quesito. Può uno Stato membro rifiutare di prendere in considerazione i figli a carico di un titolare di permesso unico, che siano nati in un Paese terzo, qualora essi non siano entrati in base a una procedura di ricongiungimento familiare o qualora il genitore non abbia fornito i documenti comprovanti la regolarità del loro ingresso nel territorio? Chiara anche la risposta dei giudici comunitari. È contrario al diritto dell’Unione Europea subordinare il diritto alle prestazioni familiari dei cittadini di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in Francia ad una condizione supplementare, consistente nel dover dimostrare l’ingresso regolare nel territorio francese dei figli per i quali sono richieste le prestazioni familiari. In sostanza, imporre una siffatta condizione significa, secondo i giudici, riservare ai cittadini di Paesi terzi un trattamento meno favorevole di quello di cui beneficiano i cittadini dello Stato membro ospitante. Mentre il diritto dell’Unione Europea prevede la parità di trattamento tra i cittadini di Paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri e i cittadini nazionali. Infatti, quando è accertato il soggiorno legale del cittadino di un Paese terzo in uno Stato membro, spetta agli Stati membri garantire la parità di trattamento tra tali lavoratori soggiornanti nel loro territorio e i loro cittadini nazionali, limitando rigorosamente le deroghe a tale diritto.